La prima sentenza del Tribunale di Milano sulla domanda congiunta di separazione e divorzio
Introduzione
La recentissima riforma del diritto di famiglia – introdotta con la Riforma Cartabia entrata in vigore dal 1° marzo 2023 - ha affermato la possibilità per i coniugi di richiedere al Tribunale, con il medesimo ricorso, la separazione e il divorzio.
Il nuovo articolo del codice di procedura civile 473bis n. 49 ha infatti disposto che:
“Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse.”
In questo modo i coniugi, con una domanda congiunta, possono già esprimere e determinare:
- la volontà sia di separarsi che di divorziare;
- i termini e le condizioni che disciplineranno sia la separazione, che il divorzio.
La nuova previsione normativa è rivoluzionaria: i coniugi che, preso atto della irreversibile crisi matrimoniale, abbiano già tracciato la propria traiettoria, determinati anche a divorziare, non dovranno più procedere con due atti (e due processi) distinti.
Sarà quindi possibile gestire e risolvere la crisi matrimoniale - nella sua parabola dalla separazione al divorzio - in unicum e quindi con un solo ricorso.
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Il processo.
La portata della decisione del Tribunale di Milano è rilevante, in quanto non solo è tra le prime applicazioni del nuovo strumento rappresentato dalla domanda congiunta di separazione e divorzio, ma anche in quanto ha – correttamente – stabilito l’operatività del cumulo di domande (relative e alla separazione e al divorzio).
La richiesta unita di separazione e divorzio è, infatti, ammissibile non solo in ipotesi di separazione giudiziale, ma anche in caso di domanda congiunta della coppia, ossia secondo una iniziativa consensuale.
Nel caso di specie i due coniugi, in regime di comunione dei beni, hanno congiuntamente richiesto al Tribunale di Milano, di pronunciare - all’interno del medesimo e unico giudizio - la loro separazione personale e - decorsi i sei mesi di legge previsti quale termine minimo tra la domanda di separazione consensuale e la domanda di divorzio - anche la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto.
In tal modo i coniugi hanno disciplinato, in uno per la separazione e per il divorzio, le condizioni inerenti alla prole e quindi allo svolgimento della responsabilità genitoriale, i rapporti economici e preso atto delle ulteriori statuizioni personali.
Gli effetti.
Si badi bene: per quanto la domanda di separazione e divorzio sia unica e impegni i coniugi ai termini e alle condizioni previste per l’una e per l’altro, vi sono dei termini di legge da rispettare.
E così le obbligazioni collegate alla domanda di divorzio avranno effetto esclusivamente decorsi sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione consensuale.
Il nostro Ordinamento prevede, infatti e ancora, che fra la separazione consensuale e il divorzio decorrano almeno sei mesi.
Trascorso il citato termine, nel caso in cui i coniugi non si riconcilino, il Tribunale pronuncerà il divorzio, senza che sia necessario il deposito di un nuovo ricorso.
La riforma Cartabia comporta quindi un mutamento radicale nella gestione e risoluzione della crisi coniugale.
Prima della riforma il nostro Ordinamento vietava ai coniugi di concludere accordi in vista del divorzio già in sede di separazione (o così detti patti in vista del divorzio).
La ragione di tale divieto risedeva, chiaramente, nella necessità di disciplinare separazione e divorzio sulla scorta di dati fattuali attuali (redditi, patrimonio, età ed esigenze della prole), così impedendo che i coniugi assumessero obbligazioni per il futuro, sulla base di elementi si attuali al momento della decisione, ma potenzialmente cambiati al momento del divorzio.
Tale divieto, riteniamo, era ancora condizionato dalla normativa che pretendeva il decorso di un termine di tre anni tra separazione e divorzio.
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Con l’introduzione di quello che è comunemente noto come divorzio breve (possibilità di divorziare a distanza di sei mesi dalla separazione consensuale e a distanza di dodici mesi dalla separazione giudiziale), ha perso oggettivamente attualità il divieto dei patti in vista del divorzio, strettamente collegato a una astratta e generale (del tutto ragionevole) tutela dell’uno o dell’altro coniuge, che avrebbe potuto assumere un impegno e/o vedersi riconosciuti diritti esercitabili nel lungo termine e quindi non più allineati allo stato di fatto esistente al momento dell’accordo.
Nondimeno, è obiettivo come la riforma abbia introdotto una concreta e significativa apertura alla libertà negoziale dei coniugi in sede di divorzio.