Divisione Testamentaria (fatta dal testatore)

Il nostro codice civile riconosce espressamente al testatore la facoltà di dividere il suo patrimonio tra gli eredi. Dunque di intervenire attivamente attraverso la così detta divisione testamentaria.

Il testatore può infatti:

  • dettare norme vincolanti per la sua effettuazione (c.d. assegno divisionale semplice)
  • oppure stabilire che venga effettuata secondo la stima di un soggetto terzo da lui designato o, ancora, affidarne il compimento all’esecutore testamentario.
  • realizzare direttamente la divisione (c.d. assegno divisionale qualificato). 

Vediamo nel dettaglio le varie ipotesi.

 

Indice:

  1. L'assegno divisionale sempllice
  2. La divisione rimessa all'opera del terzo
  3. L'assegno divisionale qualificato
  4. Divisione testamentaria e difesa dei legittimari

 

1. L’assegno divisionale semplice

L’art. 733 comma 1 c.c. prevede che il testatore può stabilire “particolari norme per formare le porzioni”, con disposizione vincolante per gli eredi “salvo che l’effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore”.

 

In tale ipotesi il testatore stabilisce i criteri secondo cui formare le quote (eventualmente tramite attribuzione di beni specifici), ma non procede alla formazione di quote concrete ed alla loro attribuzione tramite il testamento. Ad esempio, il testatore potrebbe così disporre: “nomino Tizio e Caio, miei figli, eredi universali, e voglio che nella porzione di Tizio sia compresa la mia azienda”. Come si vede il testatore ha determinato le quote e stabilito un criterio di formazione delle stesse, ma non ha effettuato alcuna attribuzione diretta.

 

Pertanto, come conseguenza, la concreta divisione del patrimonio si attua con la successiva attività negoziale degli eredi. Sono questi ultimi infatti che dovranno procedere alla divisione del patrimonio ereditario, conformandosi, nello svolgimento delle operazioni di divisione, alle indicazioni fornite dal testatore. Fino a che le operazioni di divisione non si saranno concluse, tra gli eredi si intenderà quindi costituita una comunione ereditaria.

Lo scopo del testatore è quello di influenzare la formazione e l’assegnazione delle quote ereditarie. Come detto, non è il testatore che effettua direttamente la divisione dei beni (diversamente da quanto invece accade nell’ipotesi di assegno divisionale qualificato).

 

Il contenuto delle norme che il testatore può dettare in vista della divisione può essere il più vario. Il testatore può infatti dettare disposizioni esplicite e dirette: per esempio stabilendo che uno specifico bene sia incluso nella porzione di un determinato erede.

 

Oppure può stabilire disposizioni implicite e indirette: per esempio stabilendo che uno specifico bene NON sia incluso nella porzione di un determinato erede, anche senza stabilire a quale porzione vada assegnato.

 

L’intervento del testatore può inoltre riguardare il modo di condurre le operazioni divisorie. In tal caso il testatore fissa disposizioni di carattere procedimentale, derogando, ove possibile, alle norme di legge applicabili (quali ad esempio quelle riferite alla omogeneità delle porzioni oppure stabilendo di esonerare dal sorteggio le porzioni uguali o di imporre il sorteggio delle porzioni diseguali o ancora attribuendo ad uno o più coeredi il potere di scegliere i beni da includere nelle varie porzioni).

 

L’autonomia del testatore di intervenire nella divisione, per quanto ampia, non è tuttavia illimitata.

 

Essa incontra infatti un primo limite nell’intangibilità quantitativa della quota che la legge riserva al legittimario. Il testatore è tenuto infatti a comprendere nella divisione anche tali soggetti, ai quali deve essere attribuito quanto loro spetta.

 

Infine, passando al secondo limite, va ricordato che le disposizioni del testatore non sono vincolanti per i coeredi qualora il valore effettivo dei beni assegnati non corrisponda al valore delle quote stabilite dal medesimo testatore, a norma dell’art. 733 primo comma c.c. O, meglio, qualora il valore dei beni assegnati sia inferiore “di oltre un quarto” la divisione potrà essere impugnata.

 

2. La divisione rimessa all’opera del terzo

Il secondo comma dell’art. 733 c.c. prevede che il testatore può disporre che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata, che non sia erede o legatario.

La divisione proposta da questa persona non vincola gli eredi, se l’autorità giudiziaria, su istanza di uno di essi, la giudica contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua.

Per quanto concerne l’ampiezza dei poteri attribuibili al terzo da parte del testatore, si precisa che il terzo può essere chiamato a intervenire nella divisione con modalità e poteri differenti.

 

Al terzo può essere infatti demandata la mera stima dei beni, ma può anche arrivare a richiedersi il compimento di una o più operazioni divisionali, fino a pervenire al perfezionamento dell’intero iterprocedimentale da concludersi mediante una vera e propria proposta di divisione. 

In questo caso l’attività del terzo è in certo modo assimilabile a quella del notaio cui il giudice - in sede di procedimento di divisione - dia incarico di presentare un progetto di divisione.

 

Sarà quindi compito degli eredi dare esecuzione al progetto di divisione. In questo senso si definisce l’attività del terzo come di natura obbligatoria e non reale. Gli eredi che ricevono il progetto - salvo legittime impugnative - sono obbligati a conformarvisi. Ma il trasferimento, giuridico, dei beni, si verificherà solo successivamente, tramite l’attività degli eredi.

 

Il terzo designato dal testatore è dunque definibile come un arbitratore, tenuto da una parte a rispettare la volontà del testatore e dall’altra a procedere alle operazioni divisionali con l’arbitrium boni viri.

 

3. L’assegno divisionale qualificato 

L’art. 734 comma 1 c.c. dispone che il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile.

Tale divisione effettuata dal testatore, tradizionalmente identificata con l’espressione “assegno divisionale qualificato” per segnare una chiara distinzione con l’“assegno divisionale semplice” costituisce espressione del generale principio dell’autonomia testamentaria, sancito dall’art. 587 c.c. La norma conferma il potere riconosciuto al testatore di disporre – in tutto o in parte – dei propri beni per testamento, attribuendoli direttamente a tutti o ad alcuni eredi.

 

Tale tipologia di divisione ha efficacia reale poiché i singoli beni ereditari vengono acquistati immediatamente e direttamente dagli eredi istituiti sin dal momento dell’apertura della successione, senza che su tali beni si instauri una comunione ereditaria e sia dunque necessario procedere in un secondo momento ad operazioni divisorie.

 

La divisione testamentaria oltre che totale può essere anche parziale.

In tale ultimo caso essa può prevedere la distribuzione tra gli eredi istituiti solo di una parte dei beni ereditari. Tale circostanza può verificarsi:

  • per specifica volontà del testatore,
  • per una sua mera dimenticanza
  • o per effetto dell’acquisto di ulteriori beni compiuto successivamente alla predisposizione del testamento.

 

I beni che non sono stati interessati dalla divisione fatta dal testatore possono, a seconda dei casi:

  • cadere in successione secondo la disciplina prevista dalla legge. In altri termini, in questa fattispecie, i beni si considerano estranei alla divisione fatta dal testatore. Pertanto, non risultando, in questa ipotesi, una volontà del testatore, suppliscono le norme di legge che li riconosceranno ai così detti eredi legittimi.
  • Essere comunque vincolati dalla volontà del testatore, laddove, dall’interpretazione della volontà del testatore sia ricavabile la sua intenzione di escludere dalla successione gli eredi legittimi.

Nei casi esposti si parla di divisione ereditaria oggettivamente parziale.

 

La divisione ereditaria può essere anche soggettivamente parziale, qualora il testatore provveda a formare le porzioni con riguardo solo ad alcuni tra gli eredi istituiti.

 

Nella formazione delle porzioni, dal punto di vista qualitativo, al testatore viene riconosciuta ampia libertà: egli può infatti formare le porzioni come meglio crede, derogando sia all’art. 718 che prevede il diritto dei coeredi alla materiale divisione in natura dei beni ereditari, sia all’art. 727 c.c. e, quindi, al diritto all’omogeneità delle porzioni.

 

Il testatore può inoltre ricorrere allo strumento del conguaglio in denaro, al fine di correggere eventuali differenze in valore nella formazione delle porzioni.

 

Tale conguaglio disposto dal testatore deve essere qualificato come legato obbligatorio divisionis causa,ossia legato con funzione divisoria, destinato unicamente a facilitare le operazioni divisionali impedendo un’eventuale azione di rescissione per lesione di quota.

 

Sotto il profilo quantitativo, invece, la libertà divisoria del testatore incontra una duplice limitazione (come sopra già anticipato).

 

Innanzitutto, il testatore deve comprendere i legittimari, ai quali deve essere assegnato quanto spetta loro per legge, al fine di evitare che agiscano in riduzione.

 

Il secondo limite quantitativo è invece rappresentato dalla necessaria proporzionalità che deve esistere, anche al momento dell’apertura della successione, tra il valore delle quote ed il valore dei beni assegnati.

 

4. Divisione testamentaria e tutela dei legittimari

La tutela dei legittimari rispetto alla divisione testamentaria è perseguita dalla legge attraverso due rimedi, entrambi contenuti nell’art. 735 c.c.

 

Il primo comma della norma sancisce innanzitutto che la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla.

 

Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che la divisione testamentaria che non comprenda qualche erede testamentario o qualche erede legittimario è nulla salvo che il testatore abbia lasciato fuori dalla divisione da lui operata una massa di beni sufficienti a formare le porzioni dei soggetti formalmente esclusi.

 

Con riguardo al legittimario, ai fini dell’esercizio dell’azione di nullità, occorre distinguere:

  • qualora il legittimario escluso dal riparto sia stato preventivamente istituito erede, l’azione di nullità per esclusione ex art. 735 comma 1 c.c. sarà immediatamente esperibile;
  • viceversa, qualora il legittimario sia stato escluso non solo dal riparto ma anche dalla vocazione testamentaria, la domanda di nullità della divisione testamentaria dovrà essere preceduta dall’esercizio dell’azione di riduzione.

 

Per quanto concerne le conseguenze della nullità della divisione ex art. 735 comma 1 c.c., si segnala che viene ad instaurarsi tra gli eredi istituiti una comunione ereditaria, che potrà poi essere sciolta mediante successivo atto di divisione su istanza di ciascuno dei coeredi.

 

Il secondo comma dell’art. 735 c.c. disciplina l’ipotesi del legittimario che non sia stato totalmente escluso, ma soltanto leso, in quanto gli sono stati attribuiti beni di valore inferiore alla sua quota di riserva. La norma stabilisce che in tal caso il legittimario può esercitare l’azione di riduzione contro gli altri coeredi.

 

L’azione di riduzione peraltro non ha la funzione di rendere nulla la divisione del testatore, bensì quella di correggerla e quindi di integrare le porzioni disposte dal testatore medesimo. Integrazione che si realizza attribuendo al legittimario leso ulteriori beni ereditari, già assegnati dal testatore ad altri eredi, nella misura in cui ciò sia necessario per raggiungere il valore della quota di riserva.

 

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