Morte del socio: come comportarsi?
La morte di un socio può determinare uno sconvolgimento degli equilibri interni della vita societaria.
La fuoriuscita di un membro dalla compagine sociale costringe i soci superstiti a dover adottare in tempi brevi delle misure che garantiscano la prosecuzione delle attività.
Al contempo, si pongono ulteriori problemi relativi, ad esempio, alla necessità di liquidazione della quota del socio defunto in favore degli eredi; agli adempimenti pubblicitari da porre in essere in conseguenza del decesso del socio; alle eventuali, ulteriori responsabilità in cui il o i soci superstiti potrebbero incorrere con riferimento ai debiti sociali; a come garantire la prosecuzione del funzionamento dell’assemblea societaria.
Vediamo dunque, nell’ambito del più ampio discorso inerente il passaggio generazionale dell’impresa, quali regole si applicano in caso di decesso di un socio e come comportarsi nel caso in cui ci si trovi a dover fronteggiare un evento di questo tipo.
Indice:
- Morte del socio: effetti nelle società di capitali e nelle società di persone
- Quali adempimenti incombono sui soci superstiti?
- Cosa succede ai debiti sociali?
- Che fine fa la quota del socio defunto se non ci sono eredi?
- Il funzionamento dell’assemblea in caso di morte del socio
1. Morte del socio: effetti nelle società di capitali e nelle società di persone
Preliminarmente, deve evidenziarsi che la disciplina della morte del socio si atteggia in maniera differente a seconda che l’impresa presa in considerazione sia costituita (a) in forma di società di capitali, o (b) di persone:
- nel caso di società di capitali, vige il regime della responsabilità limitata: risponde delle obbligazioni sociali soltanto il patrimonio sociale dell’impresa, con conseguente esclusione di qualsivoglia responsabilità patrimoniale in capo ai singoli soci (il cui patrimonio, appunto, non è di regola aggredibile da parte dei creditori della società di cui fanno parte);
- nel caso delle società di persone, al contrario, è possibile (sia pure in forme diverse a seconda del tipo societario considerato) che anche i singoli soci siano chiamati a rispondere delle obbligazioni sociali. Per fare un esempio, nelle società in accomandita semplice i soci accomandatari - che per legge assumono il ruolo di amministratori della Società - sono illimitatamente responsabili per i debiti di impresa a norma dell’art. 2318 cod. civ. Ciò significa che dei debiti dell’impresa risponde non solo - ed in via esclusiva il patrimonio dell’impresa - bensì anche il patrimonio personale del socio accomandatario.
In considerazione del regime di responsabilità limitata sinteticamente richiamato, per le società di capitali non si pongono particolari esigenze di tutela in relazione alla trasmissibilità della quota del socio defunto, ragione per cui vige la generale regola della libera trasmissibilità della partecipazione (sancita dall’art. 2355 bis cod. civ. per le società per azioni ed in accomandita per azioni e dall’art. 2469 cod. civ. per le s.r.l.), fatte salve eventuali diverse previsioni dello statuto e/o dell’atto costitutivo.
Viceversa, dal momento che nelle società di persone i singoli soci possono, a seconda dei casi, essere chiamati a rispondere delle obbligazioni sociali con il loro personale patrimonio, il codice civile pone dei limiti alla libera circolazione delle partecipazioni societarie, stabilendo all’art. 2284 cod. civ., il generale principio (opposto a quello sopra visto) di non trasmissibilità della partecipazione in caso di decesso del socio, salvo diversa previsione dello statuto e/o dell’atto costitutivo.
La ratio di tale norma risiede nell’esigenza di evitare che gli eredi del socio defunto possano trovarsi costretti a rispondere personalmente per i debiti di impresa a causa della successione ereditaria.
Pertanto, nel caso di decesso di un socio di società di persone, le alternative per i soci superstiti saranno le seguenti:
- liquidare la quota agli eredi del socio defunto, con conseguente esborso economico da parte della società nel breve periodo (entro sei mesi, a norma di legge);
- sciogliere la società, ponendola in liquidazione;
- trovare un accordo con gli eredi del socio defunto per il loro subentro in società e, dunque, per la continuazione dell’attività di impresa con questi ultimi. Per tale ipotesi sarà peraltro necessario il consenso di tutti i soci superstiti, nonché la stipula di un apposito accordo tra questi ultimi e gli eredi.
Come sopra evidenziato, il contratto di partecipazione sociale (statuto e/o atto costitutivo) può contenere delle regole diverse rispetto a quelle sin qui indicate, prevedendo apposite clausole che, ad esempio, obblighino i soci alla prosecuzione dell’attività di impresa con gli eredi del socio defunto (c.d. clausole di continuazione), oppure subordinino il trasferimento della partecipazione al mero gradimento di organi sociali o di terzi (c.d. clausole di mero gradimento); tale argomento, per la sua complessità ed ampiezza, sarà oggetto di approfondimento in altra sede.
2. Quali adempimenti incombono sui soci superstiti?
Per quanto attiene al regime pubblicitario, deve farsi ancora una volta una distinzione tra società di capitali e di persone.
Ed infatti:
- nelle società di capitali non è obbligatorio comunicare il decesso del socio al Registro delle Imprese. Dovrà, invece, essere registrato l’eventuale trasferimento della partecipazione in favore degli eredi o di terzi;
- nelle società di persone, la direttiva MISE del 27 aprile 2015 ha stabilito che il decesso del socio costituisce un fatto modificativo dell’atto costitutivo e deve essere pertanto iscritta nel Registro Imprese entro il termine di trenta giorni dalla verificazione dell’evento, pena l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 2360 cod. civ.
Oltre a ciò, si deve altresì evidenziare che il venir meno, a seguito del decesso, della pluralità dei soci (nelle società semplici e nelle società in nome collettivo) ovvero delle diverse categorie di soci (accomandanti e accomandatari) nelle società in accomandita semplice determina l’obbligo di ricostituire tale pluralità o di sostituire il socio venuto meno nel termine di sei mesi dalla verificazione dell’evento.
Laddove, decorso tale termine, il o i soci superstiti non abbiano ottemperato a tale obbligo, potranno verificarsi le seguenti ipotesi:
- potranno procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese dopo aver liquidato i creditori sociali;
- potranno trasformare la società in un altro tipo societario e/o forma di impresa per i quali l’ordinamento giuridico non prescriva il requisito della pluralità dei soci o della presenza di diverse categorie di soci;
- in caso di inerzia, laddove non si opti per nessuna delle due soluzioni suindicate, la società si scioglie ed entra in fase di liquidazione;
- nel caso delle società in accomandita semplice, il socio accomandante unico superstite che (i) non provveda alla sostituzione dell’accomandatario venuto meno e che (ii) non provveda entro il termine di sei mesi dal decesso alla nomina di un amministratore provvisorio per lo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione dell’impresa, rischia di incorrere nella perdita del beneficio della limitazione di responsabilità previsto dall' art. 2320 c.c., con conseguente sua sopravvenuta responsabilità illimitata.
3. La comunione ereditaria della partecipazione sociale
Pare opportuno rammentare che nel caso di devoluzione della partecipazione societaria in favore di una pluralità di eredi la quota cadrà in comunione ereditaria.
Tale situazione di comproprietà della partecipazione societaria determina l’obbligo per i coeredi di nominare, a maggioranza, un rappresentante comune che li rappresenti, anche al fine di garantire una corretta prosecuzione delle attività decisionali dell’assemblea: il rappresentante comune, infatti, curerà la gestione della quota e l’esercizio dei relativi diritti (come quello di partecipazione all’assemblea, di voto e di impugnazione delle delibere assembleari) sino alla divisione della massa ereditaria.
In caso di mancata nomina del rappresentante comune, che viene considerato, in base a consolidata giurisprudenza, l’unico soggetto legittimato all’esercizio di tutti i diritti che per statuto o per legge spettano ai comproprietari nelle more della divisione ereditaria, si evidenzia che è da ritenersi esclusa la legittimazione autonoma e/o concorrenti da parte dei singoli comproprietari in relazione all’esercizio dei diritti inerenti la quota stessa.
4. Cosa succede ai debiti sociali?
Ci si chiede ora se la morte del socio determini di per sé un incremento delle responsabilità gravanti sui soci superstiti, in relazione ai debiti sociali.
Alla luce di quanto sopra visto, nelle società di capitali il problema in questione appare connotato da minore rilevanza, giacché -data la limitazione di responsabilità per le obbligazioni sociali, circoscritta al solo patrimonio sociale- il socio superstite che intendesse proseguire l’attività di impresa con gli eredi del defunto e/o con soggetti terzi manterrebbe comunque il beneficio di limitazione di responsabilità a quanto già conferito a titolo di capitale sociale dell’impresa.
Nelle società di persone la questione appare invece caratterizzata da maggiore delicatezza, atteso il regime di responsabilità illimitata dei singoli soci che usualmente le caratterizza e che espone i soci superstiti, pertanto, al rischio di ritrovarsi interamente gravati da obbligazioni assunte nell’interesse della società quando il socio defunto era ancora in vita.
In tali casi, dunque, la responsabilità dei soci superstiti illimitatamente responsabili subisce effettivamente un’espansione. Si ponga il caso, ad esempio, di una società semplice composta da due soci in relazione alla quale, a seguito del decesso di uno di essi, venga meno la pluralità dei soci stessi. In siffatta ipotesi, la titolarità dei rapporti facenti capo alla società si concentrerà in capo al solo socio superstite, che risponderà personalmente delle obbligazioni sociali.
Potrebbe risultare, infine, gravosa per le sorti dell’impresa l’ipotesi in cui la stessa si ritrovi costretta a dover fronteggiare l’obbligo di liquidazione del valore della quota sociale in favore degli eredi del socio defunto entro il termine di sei mesi previsto dalla legge. Tale circostanza potrebbe, infatti, astrattamente determinare per la società un problema di carenza della liquidità necessaria a far fronte all’adempimento dell’obbligazione.
In conclusione, si consiglia di tenere in debita considerazione sin dal momento della costituzione della società la problematica relativa alle sorti dell’impresa nella (scongiurata) eventualità del decesso di uno dei soci, in modo da poter valutare preventivamente a quali rischi il socio superstite potrebbe andare incontro in tale ipotesi e ponderare costi e benefici del futuro scenario possibile, onde evitare di incorrere in aggravi di responsabilità eccessivi.
5. Che fine fa la quota del socio defunto se non ci sono eredi?
Come sopra visto, nelle società di capitali, nelle quali vige il principio della libera trasmissibilità della partecipazione, la quota del socio defunto potrà essere trasferita agli eredi o a terzi soggetti; nel caso di società di persone, invece, la quota potrà essere liquidata in favore degli eredi, oppure essere loro trasferita (con il consenso dei soci superstiti) per la prosecuzione dell’attività di impresa con gli stessi.
Un caso particolare si verifica invece laddove il socio defunto non abbia eredi, o sia comunque verosimile che non esistano eredi.
In siffatta ipotesi, si ritiene che debba trovare applicazione l’art. 586 cod. civ., che disciplina la devoluzione dell’eredità allo Stato in mancanza di altri successibili. In altri termini, il “destinatario” della partecipazione sociale in ultima istanza è lo Stato (la cui responsabilità non potrà, in ogni caso, superare il valore dell’eredità stessa).
Lo Stato, peraltro, potrà diventare socio dell’impresa a tutti gli effetti soltanto quando risulterà assolutamente certa l’inesistenza di successibili entro il sesto grado.
Fino a tale momento, l'eredità sarà considerata giacente, con conseguente necessità di nomina di un curatore ex art. 528 c.c. che potrà garantire, quale legittimo interlocutore della società, la valida prosecuzione delle attività di impresa.
6. Il funzionamento dell’assemblea in caso di morte del socio
Ci si chiede, infine, in che modo i soci superstiti possano garantire il proseguimento del funzionamento dell’assemblea societaria nel caso in cui uno dei soci venga a mancare e a chi, in particolare, debbano essere indirizzati gli avvisi di convocazione assembleari al fine di non incorrere in ipotesi di invalidità delle delibere adottate.
La questione è stata oggetto di un recente studio da parte del Consiglio Nazionale del Notariato (“Studio n. 61-2020/I - Successione a causa di morte di quote di s.r.l. e funzionamento dell’assemblea”) che ha ricostruito gli aspetti più salienti della questione con riferimento al tipo societario della s.r.l.
Il Consiglio ha, in sostanza, affermato che:
- ai sensi dell’art. 2470 cod. civ., il trasferimento mortis causa della partecipazione sociale ha effetto nei confronti della società soltanto in seguito al deposito della documentazione attestante tale trasferimento dinanzi al Registro delle Imprese;
- fintanto che tale pubblicità non è posta in essere, gli eredi non sono legittimati all’esercizio dei diritti sociali;
- ne consegue che l’assemblea dei soci potrà dirsi validamente convocata mediante l’invio del relativo avviso al socio defunto, non rilevando che la circostanza del decesso sia stata comunque acquisita dalla società per vie traverse;
- analogamente, “la partecipazione del socio defunto dovrà essere computata nel calcolo dei quorum deliberativi e, quindi, le delibere potranno ritenersi validamente assunte qualora il voto favorevole degli altri soci consenta di raggiungere le maggioranze prescritte dalla legge” (cfr. Studio n. 61-2020/I).