Il figlio minore è collocato presso il genitore divorziato. Possono trasferirsi all’estero?

Salve, mi chiamo Sara, ho 30 anni e sono divorziata dal 2015. Ho un figlio con il mio ex marito che ha 12 anni di cui abbiamo l'affidamento condiviso con residenza presso la mia abitazione. Attualmente sono sposata e ho un altra bambina. Con mio marito vorremo trasferirci negli Stati Uniti in quanto qui in Italia non vediamo possibilità per un futuro per noi e per i nostri figli. Mi chiedo però come posso fare a trasferirmi avendo l'affidamento condiviso. C'è un modo per poterlo fare senza avere problemi dal punto di vista legale? Grazie mille
Famiglia (04/03/2019)
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Autore:
Avvocato Fabrizio Tronca
Eredità e Successioni, Immobili, Famiglia
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Risposta:

Da quanto descrive, avendo svolto il procedimento di divorzio, l'affido congiunto e la collocazione presso la casa materna del figlio minore sono stati determinati dal Tribunale competente.

Le decisioni che coinvolgono - direttamente e/o indirettamnete - il minore sono sempre valutate dal Tribubale tenendo conto del suo primario interesse.

Fatta tale premessa, una prima considerazione da svolgere è che, essendo in regime di affido congiunto, una decisione così radicale sulla vita del minore, quantomeno, debba presupporre l'accordo di entrambi i genitori.

Senza tale condizione, un trasferimento in altro continente non solo sarebbe sconsigliato, ma lo riterremmo persino illecito, anche sotto il profilo penale.

Portare all'estero il figlio senza il conenso dell'altro genitore può infatti integrare il reato di sottrazione di minore (art. 574 c.p. "Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o curatore, con la reclusione da uno a tre anni").

La scelta non condivisa potrebbe portare il padre ad attivare i rimedi previsti dalla Convenzione de L'Aja del 1980 per il rimpatrio dei minori sottratti. 

Non solo.

Posto, come detto, che il primario interesse del minore è la stella polare nelle decisioni che lo coinvolgano, in estrema analisi anche lo stesso consenso di entrambi i genitori potrebbe non essere sufficiente (in astratto, non è detto che le decisioni dei genitori, per quanto condivise, coincidano con il miglior bene del figlio).

Nel valutare il migliore assetto di vita del piccolo, infatti, deve essere tenuto in conto non tanto il diritto del padre a frequentarlo, quanto il diritto - di riflesso - del minore ad avere un padre e quindi a mantenere il rapporto ed anzi a coltivarlo.

È evidente che una scelta tanto radicale, oggettivamente, influenzerebbe il rapporto padre-figlio, che per il nostro Ordinamento, oltre a comportare precisi diritti e doveri (di mantenimento, educazione ed istruzione), ha anche un valore morale e sociale.

V'è poi un terzo elemento da tenere in conto, oltre all'accordo dei genitori e alla valutazione degli effetti del rapporto padre-figlio, ovvero il contesto sociale.

Occorre, infatti, valutare se e come tutelare e conservare, in ottica trasferimento, quella rete di relazioni personali, come amicizie, legami con i parenti paterni, percorso scolastico e formativo, rapporto con gli insegnanti, che in 12 anni abbiano concorso a formare il bambino come persona.

Anche tale insieme di relazioni e nozioni, per i nostri Tribunali, è un patrimonio da tutelare o, quantomeno, da soppesare nel rapporto beneficio/sacrificio in un trasferimento come quello prospettato.

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Posto che la scelta, per quanto ponderata, legittima ed anche razionale, pretenda due profili di accordo, ovvero da un lato con il padre e dall'altro concesso dal Tribunale, il suggerimento è per la procedura probabilmente più formale ed impegnativa ma, a lungo termine, più tutelante per tutte le parti coinvolte (genitori e figlio).

Trattiamo della procedura per modifica delle condizioni di divorzio, sede nella quale - per via consensuale, ovvero con un ricorso congiunto con il padre o giudiziale, con ricorso avanzato solo da Lei - si richieda al Tribunale del divorzio di omologare la scelta di trasferire la casa familiare del minore in USA.

In tale sede saranno valutate le rispettive posizioni ed i diritti dei genitori, così come le esigenze e le prosettive (anche migliorative, certamente) del minore.

Non di poco momento è considerare come tale trasferimento possa incidere, anche, su altri elementi immaginiamo già disciplinati con il divorzio (mantenimento del figlio a carico del padre, calendario di frequentazione settimanale, calendario di frequentazione festiva et similia): un trasferimento senza che tali condizioni non siano modificate da un Tribunale, anche laddove sussitesse l'accordo del padre, lascerebbe esposte le parti a future, e irrisolvibili, reciproche contestaizoni. 

In concreto, posto che il tema è non difficoltoso, ma importante e delicato, la risposta diretta al Suo quesito è: si, c'è un  modo per non avere problemi da un punto di vista legale ed è omologare questa scelta mediante la via giudiziale. 

Avvocato Fabrizio Tronca 

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