Evasione fiscale: quando è reato? Cosa si rischia e come rimediare

I mesi di luglio e novembre per molti rappresentano una grande fonte di stress e di esborsi economici: sono i mesi, infatti, in cui si devono pagare le tasse. Moltissime persone, tuttavia, cercano soluzioni più o meno lecite per non pagarle o pagarne meno.

In questo articolo, si offre al lettore una panoramica della normativa di settore, spiegando quali comportamenti del contribuente integrino un reato e quali soluzioni offra la legge per risolvere piccoli e grandi “guai” con l’Agenzia delle Entrate.

 

Indice

  1. Evasione fiscale: che cosa si intende?
  2. Quando l’evasione fiscale è un reato?
    1. Dichiarazione fraudolenta
    2. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
    3. Dichiarazione infedele
    4. Omessa dichiarazione
    5. Emissione di fatture false
    6. Occultamento e distruzione di documenti contabili
  3. La prescrizione
  4. Quali sono i rimedi?
  5. Una panoramica sulla normativa

 

1. Evasione fiscale: che cosa si intende?

Il termine evasione fiscale si riferisce a tutte le condotte attraverso le quali il contribuente viola una norma al fine di non pagare o pagare meno tasse.

L’esempio di immediata comprensione di ciò che può consistere in evasione fiscale riguarda la vendita -di qualunque merce, prodotto e/o bene- senza emissione dello scontrino fiscale. In questo caso la c.d. “evasione fiscale” avviene perché il denaro incamerato non è contabilizzato: ne consegue che, sulla vendita effettuata senza emissione di ricevuta, non potranno essere applicate le imposte (generali e speciali per ogni settore) e il c.d. imponibile non potrà essere tassato.

 

Il sistema giuridico italiano, come noto, prevede diverse sanzioni per gli “evasori”, ma non tutte le condotte realizzate dagli stessi integrano un reato. Molte delle trasgressioni compiute dai contribuenti, infatti, comportano l'irrogazione di una multa ovvero di una sanzione amministrativa.

 

Diverse dall’evasione, poi, sono l’elusione fiscale e la frode fiscale.

L'elusione fiscale riguarda quelle condotte che, anche se formalmente legittime, sfruttano le carenze dell'ordinamento giuridico per evitare il pagamento di tributi. La caratteristica principale dell’elusione è quella di esprimersi attraverso più atti tra di loro collegati come, ad esempio: le cessioni di crediti e le eccedenze d'imposta.

La frode fiscale, invece, riguarda un comportamento fraudolento finalizzato a “ingannare” la Pubblica Amministrazione: un esempio tipico è l'inserimento in contabilità di fatture false per ridurre l'imponibile fiscale.

Fatta questa breve premessa, in questo articolo vedremo nel dettaglio quali condotte siano considerate reato e quali no.

 

2. Quando l’evasione fiscale è reato?

Vediamo quali sono i principali reati in tema fiscale:

a. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. 74/2000)

Questo reato può essere commesso dal contribuente (ai fini delle imposte sui redditi o dell’Iva) che presenta le relative dichiarazioni annuali.

Si ricorda, in ogni caso, che possono essere responsabili di questo reato anche gli amministratori, i liquidatori e i rappresentanti di società, enti e persone fisiche, cioè soggetti diversi dal contribuente ma titolari del potere di rappresentare la società o l’ente nell’adempimento dell’obbligo di dichiarazione.

Le dichiarazioni tributarie rilevanti ai fini dell'integrazione di questo reato sono unicamente quelle previste ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA. Sono quindi escluse, ad esempio le imposte di successione e di registro e l'IRAP.

Cosa include la condotta di “avvalersi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”? Le fatture (o altri documenti analoghi) emesse a fronte di operazioni non realmente effettuate, in tutto o in parte, o che indicano corrispettivi o l’Iva in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

Per questo reato la pena è stata aumentata: ora è prevista la pena della reclusione da quattro a otto anni (precedentemente la pena era da un anno e sei mesi a sei anni). Il comma 2 bis introduce come titolo autonomo di reato una previsione attenuata qualora gli elementi passivi fittizi siano inferiori a € 100.000,00: in questo caso la pena resta compresa tra un anno e sei mesi e sei anni di reclusione.

 

b. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. 74/2000)

Questo reato punisce chi (al fuori dai casi previsti dall'art. 2 e, quindi, del reato esaminato qui sopra), al fine di evadere l’imposta sui redditi o sull’Iva, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette poste elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi passivi fittizi.

Qui sono previste delle soglie di punibilità (cioè, al di sotto di una certa cifra non si configura reato, ma si va incontro solamente ad una sanzione tributaria).

Questa fattispecie si distingue per i mezzi artificiosi adoperati, diversi dall'utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Altra importante differenza rispetto al precedente articolo riguarda i soggetti attivi, cioè chi può commettere il reato.

In questo caso sono i contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (che presentano la dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA), oppure i loro rappresentanti legali.

Si ricorda che sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili:

- le persone fisiche esercenti imprese commerciali, o arti e professioni;

- le società in nome collettivo, società in accomandita semplice (e società ad esse equiparate);

- le società soggette all'IRES;

- gli enti pubblici e privati (diversi dalle società) soggetti all'IRES;

- le società ed associazioni fra artisti e professionisti.

La condotta incriminata avviene in tre momenti:

  1. una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie,
  2. compiuta con mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento e,
  3. infine, la presentazione della dichiarazione falsa.

Anche in questo caso sono stati innalzati i limiti di pena. In particolare, con le ultime riforme sono stati portati da tre ad otto anni di reclusione (precedentemente era prevista una pena da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione).

 

c. Dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. 74/2000)

La dichiarazione infedele è un reato tributario in materia di imposte sui redditi ed IVA. Si sostanzia nella punibilità del soggetto che ha presentato la dichiarazione dei redditi o la dichiarazione IVA al fine di ottenere il pagamento di minori imposte o il conseguimento di rimborsi o crediti superiori al dovuto.

Per l’applicazione della pena è necessario che ricorrano congiuntamente due condizioni:

-l’imposta evasa in riferimento alla singola imposta deve essere di ammontare superiore ad euro 150.000,00;

-il totale degli elementi attivi non indicati nella dichiarazione e/o gli elementi passivi inesistenti devono essere di ammontare superiore al 10% del totale degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, il loro importo deve superiore ad euro 3.000.000,00.

Anche in questo caso i limiti di pena sono stati alzati, con la previsione della reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi (le sanzioni previgenti andavano da uno a tre anni).

 

d. Omessa dichiarazione (Art. 5 d.lgs. 74/2000)

La norma punisce chi, per essendovi obbligato, omette la presentazione della dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o sull’Iva.

L’omessa dichiarazione costituisce reato solamente quando l’imposta evasa è superiore a euro 50.000,00.

La pena prevista è da due a cinque anni di reclusione (la previsione previgente prevedeva una pena da un anno e sei mesi a quattro anni).

Questo reato non è punibile se i debiti tributari, sono estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.

Il pagamento può avvenire tramite ravvedimento operoso o con la presentazione della dichiarazione omessa, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.

Il ravvedimento o la presentazione, tuttavia, per avere efficacia devono essere svolti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

 

e. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (Art. 8 d.lgs. 74/2000)

Questa norma punisce chi, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

La pena va da quattro ad otto anni di reclusione, ma è prevista una riduzione (da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione) nel caso in cui l’importo indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo di imposta, sia inferiore ad euro 100.000,00.

 

f. Occultamento o distruzione dei documenti contabili (Art. 10 d.lgs. 74/2000)

La norma punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Perché il reato possa dirsi consumato è necessario che sia diventato impossibile ricostruire i redditi o il volume d’affari.

Anche in questo caso le ultime riforme hanno portato ad un inasprimento delle sanzioni: la pena è portata da tre a sette anni di reclusione.

 

***

 

Le modifiche apportate con l’ultimo intervento normativo hanno comportato conseguenze molto importanti anche sul piano processuale.

L’aumento della pena a cinque anni per il delitto di “Omessa dichiarazione” (art. 5 d.lgs. 74/2000), ad esempio, consente l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. Ciò significa che il Pubblico Ministero può chiedere al Giudice per le Indagini Preliminari l’applicazione della misura custodiale e, quindi, la persona sottoposta ad indagini preliminari per il reato in questione potrebbe trovarsi ad attendere il processo in carcere.

Ulteriore complicazione riguarda l’applicazione della pena su richiesta delle parti, noto come patteggiamento: l’ammissibilità del rito è già ora subordinata alla integrale estinzione del debito tributario, ai sensi dell’art.13 bis comma 2. Un innalzamento della pena, soprattutto nei minimi, espone l’imputato ad un trattamento sanzionatorio più rigido anche di fronte alla volontà (e possibilità) di rimediare al danno erariale.

 

3. La prescrizione nei reati tributari e la confisca

Le modifiche normativa analizzate hanno comportato anche effetti incisivi in relazione alla prescrizione. L’innalzamento del massimo della pena per le violazioni di molti reati comporta una dilatazione dei termini di prescrizione.

Per essi, infatti, il termine di prescrizione deve essere calcolato avuto riguardo al combinato disposto degli articoli 157 c.p. e 17 comma 1 bis d.lgs. 74/2000.

Se la regola generale prescrive di guardare al massimo della pena edittale stabilita dalla legge (con un termine non inferiore ai sei anni per i delitti), l’art.17 comma 1 bis prevede per i reati di cui agli articoli compresi da 2 a 10 che i termini di prescrizione siano elevati di un terzo. Quindi, ad esempio: per i reati puniti fino a otto anni il termine di prescrizione sarà di 10 anni e 8 mesi, per i reati puniti sino a sette anni sarà di 9 anni e 4 mesi.

Altra modifica di grande rilevanza è l’introduzione nel decreto 74/2000 dell’art. 12 ter rubricato “Casi particolari di confisca”. Si tratta della estensione della disciplina sulla confisca “allargata”, prevista dall’art. 240 bis c.p., ad una serie di violazioni tributarie ovvero alle violazioni di cui agli articoli 2, 3, 8 e 11, sempre che siano superate determinate soglie quantitative rispetto al volume dell’imposta evasa e dei suoi accessori (interessi e sanzioni).

Il presupposto, come noto, è legato alla sproporzione del denaro, beni od altre utilità da parte di chi sia condannato per uno dei reati indicati, dei quali non sia in grado di giustificare la provenienza.

Lo strumento della confisca può avere ad oggetto “denaro, beni o altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”. È irrilevante la formale intestazione del bene (quindi intestare i beni al coniuge e/o ai figli non è una soluzione saggia), dovendosi avere riguardo ad una riferibilità soggettiva sostanziale. La stessa legge prevede anche che “il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”.

 

4. Quali sono i rimedi?

In materia di reati fiscali non è possibile parlare di rimedi in senso generale. Le fattispecie, così come detto, sono molteplici e non esistono rimedi applicabili indiscriminatamente a ciascuna di esse.

Esiste, tuttavia, una speciale causa di non punibilità, disciplinata dall’art. 13 d.lgs. n. 74/2000. Al primo comma, la norma prescrive che “I reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater c. I, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, I debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché dal ravvedimento operoso”.

Cosa significa? Il soggetto che sia responsabile di uno dei delitti di omesso versamento e, tuttavia, provveda all’integrale pagamento del debito tributario entro l’apertura del dibattimento, vedrà terminare il procedimento penale a proprio carico. È chiara, in questo senso, la volontà del Legislatore di incentivare il corretto adempimento delle obbligazioni tributarie.

Ulteriore rimedio, applicabile solo in riferimento ad alcuni reati (agli articoli 2,3,4 e 5 del d.lgs. n. 74/2000), prevede che le fattispecie previste da questi articoli non siano punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti pagando interamente gli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Importante considerazione concerne le tempistiche: il ravvedimento o la presentazione devono avvenire prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o prima di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

 

In conclusione, se per i reati di omesso versamento è sufficiente provvedere all’estinzione del debito tributario entro l’apertura del dibattimento, per i delitti dichiarativi (di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 74/2000) è necessario che il pagamento del debito tributario avvenga prima che il soggetto avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o prima di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Il miglior consiglio rimane quello di avvalersi di un commercialista e di un avvocato preparati, che possano prevenire qualunque comportamento potenzialmente foriero di spiacevoli conseguenze ed eventualmente aiutare a risolvere i problemi.

 

5. Una panoramica sull’evoluzione della normativa

In Italia, la volontà di ricorrere alla sanzione penale per contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale risale ai primi anni successivi alla proclamazione del Regno d'Italia. Da lì si sono susseguite una serie di normative in realtà quasi mai applicate. Senza voler annoiare con un elenco di norme introdotte nel corso degli anni, basti pensare che la vera svolta in materia di reati tributari avviene con la c.d. Legge “manette agli evasori” la Legge n. 516/1982.

La seconda fondamentale svolta in materia di diritto penale tributario avviene con il d.lgs. 74/2000.

Il d.lgs. 74/2000 verrà successivamente modificato nel corso degli anni. Ad esempio, con il d.l. n. 138/2011, convertito nella L. n. 148/2011, vengono sostanzialmente inasprite le pene, sono abolite alcune circostanze attenuanti specifiche, sono ridotte le soglie di punibilità, sono aumentati di 1/3 i termini di prescrizione per quasi tutte le norme incriminatrici, la sospensione condizionale della pena non potrà più essere applicata in ragione di una evasione superiore al 30% del volume d’affari del contribuente e, congiuntamente, a tre milioni di euro, l’accesso al rito alternativo del patteggiamento è consentito solo nel caso di estinzione del debito tributario. L’ultimo intervento normativo in materia è il recente d.l. 124/2019.

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