Intervista a Francesco Margherita fondatore dei Fatti di Seo. Impatti legali collegati all’amministrazione di un Gruppo Facebook

    intervista     

Grazie a questa intervista con Francesco Margherita -noto consulente SEO, fondatore dei Fatti di Seo, e molto altro- comprenderemo meglio quali sono alcune delle principali criticità che si incontrano -anche da un punto di vista legale-  nel gestire al meglio una Community su Facebook, soprattutto nel caso di conflittualità tra i membri. Forniremo alcuni spunti su come tutelarsi di fronte a comportamenti scorretti, anche sotto il profilo della concorrenza sleale e del diritto d’autore.

 

D: Ciao Francesco, grazie del tuo tempo. Tu hai fondato “Fatti di SEO” come gruppo su Facebook. Oggi è una community di circa 30.000 persone. Le dimensioni di una piccola città! Non sono tutte rose, immaginiamo. Come si “amministra” e modera una community così?

R: E pensa che scherzavo… Quando nel gennaio del 2014 tirai su il gruppo, non potevo immaginare che sarebbe diventata la più interagita community italiana sulla SEO. Per rispondere, i primi anni sono stati davvero molto duri, con attacchi che arrivavano da tutte le parti perché crescevo “troppo”, invidie e risentimenti vari da cui si generavano i peggiori flame che tu possa immaginare. Complice anche la mia inesperienza, si sono verificate molte situazioni scomode con esclusioni (ban) dal gruppo che avrei potuto evitare e rancori che ancora mi porto dietro da parte di taluni soggetti giudicati incompatibili con la vita di community. Col passare del tempo sto maturando una conoscenza maggiore di certe dinamiche che mi porta a prendere decisioni meno drastiche, ma non meno ferme e decise. Gli utenti che offendono me o altri vengono silenziati - non espulsi - e ammoniti pubblicamente, ma sempre molto rispettosamente, dopo che ho acquisito gli screenshot in cui esprimono insulti o proprio ingiurie all’indirizzo altrui. L’esclusione è solo per i casi al limite della decenza.

[Commento legale alla risposta:

Facebook, come altri social network noti, ancora oggi sfugge ad una condivisa ed esaustiva definizione legale e pure ad una uniforme disciplina di legge.

Il perimetro della sua stessa essenza - da un punto di vista giuridico - è infatti ancora oggi in costante evoluzione: ne sono testimonianza le svariate pronunce che, a seconda delle circostanze, descrivono la piattaforma come un neutrale internet service provider o come un soggetto che svolge anche un servizio di pubblica utilità, a cui sono quindi riconducibili responsabilità collegate, anche penali.

Nello stesso senso ad oggi non è rilevabile una definizione legale di quello che si definisce gruppo Facebook: non rispecchia gli attributi di un’associazione (non riconosciuta) né di un “comitato” (figure giuridiche regolate rispettivamente dagli articoli 36 e 39 cod. Civ.). In assenza, quindi, di un regime legale che stabilisca le regole, lo statuto dei gruppi Facebook deve essere necessariamente ricostruito partendo, in primis dalle regole poste da Facebook stesso – purché, ovviamente, non in contrasto con altre norme dell’ordinamento italiano non derogabili - e, quando applicabili, in base alle circostanze concrete di ogni singola situazione, dalle norme del nostro paese. 

Concretamente, quindi, chi intende comprendere come deve regolarsi in relazione a “cosa si può fare” (e cosa no) in un gruppo Facebook deve sostanzialmente far riferimento a due ordini di regole:

(1) quelle stabilite dalla piattaforma medesima, che si sostanziano nelle “Condizioni d’Uso” e nelle “Regole Generali di Comportamento” (di seguito collettivamente indicate solo come “Condizioni d’uso”) cui gli utenti debbono uniformarsi nell’utilizzo del social. Tali regole riguardano ad esempio, il divieto di pubblicare contenuti lesivi di diritti fondamentali della persona (es: post contenenti incitamenti all’odio razziale o istigazioni al suicidio);

(2) quelle ulteriori regole che solitamente i singoli gruppi Facebook adottano autonomamente, in taluni casi al fine di specificare ulteriormente il contenuto di alcune regole già stabilite in via generale dalla piattaforma; in altri casi come ulteriore prescrizione impartita ai membri del gruppo per volontà degli amministratori stessi e, dunque, senza un preciso obbligo “dall’alto” in tal senso  (può trattarsi, ad esempio, di divieti di attività di promozione o spam; oppure regole di riservatezza in ordine ai contenuti che saranno postati all’interno del gruppo, se di natura privata).

Talvolta, gli amministratori del gruppo scelgono di indicare anche particolari requisiti che l’utente deve presentare al fine di poter entrare a far parte di quella specifica community, in base alla tematica che ne costituisce l’oggetto: a titolo meramente esemplificativo e per rimanere in tema legale, si possono menzionare quei gruppi privati creati per condividere materiali di preparazione all’esame di avvocato che specificano che l’ingresso alla community è riservato ai soli utenti che posseggono la qualità di giuristi iscritti all’esame. Il rispetto di tali regole e dei requisiti necessari per poter entrare a far parte di detti gruppi privati è solitamente assicurato dall’amministratore.]

 

D: Quali sono le difficoltà maggiori che hai dovuto affrontare in veste di “amministratore/moderatore” di Fatti di Seo?

R: La difficoltà maggiore è dover fare due pesi e due misure. All’inizio mi ero fissato con l’idea che le stesse regole dovessero valere sempre e comunque per tutti gli utenti, me compreso. Poi col passar del tempo e con le legnate, ho capito che le persone in generale e gli utenti del gruppo in particolare non sono tutti uguali, ma che ha senso praticare distinzioni per chi se lo merita, per chi è davvero autorevole oltre che competente, per chi ha dato prova di tenere alla community più di altri, partecipando più spesso alle discussioni, aggiungendo più valore. Ho capito che DOBBIAMO essere tutti uguali rispetto alle condizioni di partenza, ma ciò che succede dopo dipende da noi e fa sì che meritiamo di avere più o meno campo aperto e opportunità nel rapporto con gli altri. Così succede nel mondo… e anche nei Fatti di SEO.

[Commento legale alla risposta:

Gli utenti dei social network, al momento dell’iscrizione, sottoscrivono un contratto con la società che fornisce la piattaforma, accettandone Condizioni e Regolamento di utilizzo. Facebook, in particolare, indica precise regole di utilizzo della piattaforma, come ad esempio: quali sono i comportamenti non tollerati, i comportamenti illeciti che possono comportare una segnalazione all’autorità competente o quelli che, invece, possono portare come conseguenza la sospensione dell’utilizzo della piattaforma.

A queste regole sono soggetti anche gli amministratori e i moderatori dei gruppi che, oltre a dover rispettare come tutti gli utenti le Condizioni della piattaforma social, hanno anche il “compito” di far applicare le regole imposte nel contesto del gruppo che amministrano/moderano.

In linea generale, dunque, sino a che non si rilevano delle condotte da parte dei partecipanti al gruppo Facebook che si pongano in contrasto o con le regole della piattaforma o con quelle – che sempre prevalgono – poste dall’ordinamento italiano, nessun particolare problema si pone.

Diversamente, in caso di violazione (presunta od effettiva) delle regole poste dalla piattaforma e/o dal legislatore vanno attentamente considerate le possibili conseguenze anche sul piano legale.

Per quanto riguarda Facebook, le condizioni contrattuali indicano espressamente che la figura dell’amministratore ha la facoltà di estromettere (bannare) un utente da un gruppo, oppure di silenziarlo per un periodo di tempo nel caso adotti comportamenti contrari al regolamento di utilizzo (quindi ad esempio comportamenti violenti, discriminatori, illeciti etc.).   

Gli utenti non potranno rivalersi nei confronti dell’amministratore in un caso di ban: infatti, attualmente, non esiste un “diritto di reclamo” da parte del partecipante al gruppo nei confronti del suo amministratore. L’amministratore, in questo senso, gode di una sorta di immunità nell’applicazione delle proprie decisioni (purché, ovviamente, conformi: (i) alle Condizioni d’uso di Facebook, (ii) a quelle - specifiche - espresse nel regolamento del gruppo. Resta inteso che sia il regolamento del gruppo, sia le Condizioni d’uso di Facebook devono rispettare le disposizioni dell’ordinamento italiano).

Solamente laddove il ban determinasse anche la disattivazione del profilo dell’utente da Facebook - escludendolo quindi dal suo utilizzo - potrà allora essere formulato un reclamo utilizzando gli appositi canali indicati dall’azienda. I motivi che potrebbero fondare un efficace reclamo, sono, in estrema sintesi: la disattivazione del profilo in assenza di una effettiva violazione del regolamento di utilizzo, oppure il ban effettuato senza consentire all’utente di giustificarsi. E quindi, ad esempio, senza consentire all’utente di spiegare il significato di un post pubblicato, oppure le ragioni della scelta di una parola o di una particolare immagine, che potrebbero apparentemente sembrare in contrasto con il regolamento del Social Network.

Ancora, il reclamo potrebbe essere efficace quando il rimedio imposto dal Social Network (ad esempio il blocco del profilo) risulta sproporzionato rispetto a quanto contestato all’utente.

Nel caso in cui non si riesca a trovare una soluzione, invece, le controversie degli utenti contro il Social Network potranno essere fatte valere in Tribunale. In questo caso è ben sapere che è competente il Tribunale dello stato in cui risiede l’utente il quale, si ricorda, gode della particolare disciplina applicabile al “consumatore”].

 

D: hai accennato prima dell’intervista ad una vicenda “curiosa” che è capitata in “Fatti di Seo” proprio qualche settimana fa. Ce la racconti?

R: Un utente è entrato in discussione con un altro e alla fine ha invitato l’interlocutore a “farsi del male fisicamente”. Ora questa cosa a livello colloquiale può anche capitare di frequente e capisco che esistano modi di dire che non fanno riferimento a ciò che si pensa veramente, ciò non toglie che non puoi suggerire certe soluzioni all’indirizzo di una “persona che non conosci” in un gruppo “pubblico” su Facebook. La gravità era tale che perfino da Facebook mi è arrivato un ammonimento per la moderazione, capisci? A sul punto davvero non potevo far altro che espellere l’utente dal gruppo, sempre a malincuore, ma tant’è.

[Commento legale alla risposta:

Francesco descrive una condotta che potrebbe porsi in contrasto sia con le regole di Facebook e, nel contempo, data anche la natura pubblica del gruppo, con alcune norme previste dal nostro legislatore.

Relativamente alla violazione delle regole di utilizzo della piattaforma si è detto sopra. Quando alle disposizioni di legge si ricorda che le affermazioni offensive o comunque lesive dell’altrui reputazione pubblicate su Facebook, nel caso in cui risulti individuabile il soggetto cui tali offese sono indirizzate, potrebbero integrare l’illecito di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen. Questo poiché si tratterebbe di condotte realizzate mediante l’utilizzo di internet e, dunque, potenzialmente idonee a raggiungere un numero indeterminato (e certamente rilevante) di persone.

Sotto questo profilo, il suggerimento legale è sempre quello di prestare particolare attenzione alle comunicazioni che si pubblicano tramite post o commenti. Le ricadute potrebbero essere infatti potenzialmente “pesanti”. Ricordiamo che ove si accerti un comportamento diffamatorio potrebbero scattare sanzioni di natura penale oltre che, evidentemente, richieste di risarcimento del danno da parte della persona offesa.

Nel caso in cui tali offese siano state pubblicate su un gruppo Facebook, la giurisprudenza ritiene che l’amministratore del gruppo potrebbe a sua volta vedersi contestato il reato di diffamazione nel caso in cui ometta di cancellare tali frasi diffamatorie. Ove, invece, egli si sia prontamente attivato in tal senso, la sua condotta non assumerebbe rilevanza penale.

Un’interpretazione di questo tipo risulta senz’altro più coerente con le dinamiche che caratterizzano i gruppi Facebook: le communities possono arrivare a contare, infatti, anche migliaia di utenti, rendendo impossibile, di fatto, per l’amministratore un controllo capillare dei singoli contenuti postati quotidianamente da ciascuno.]

 

D: In questo caso il ban è stato risolutivo, oppure ci sono stati sviluppi ulteriori della vicenda?

R: Sì, il ban è stato risolutivo. Poi è successo che quell’utente si è risentito e ha creato un nuovo gruppo prendendo “in prestito” il nome dei Fatti di SEO. L’ho contattato sconsigliandogli di portare avanti questa cosa, fosse solo perché si tratta di un marchio registrato. Immagino mi abbia dato retta, altrimenti saranno eventualmente problemi suoi.

[Commento legale alla risposta:

Come abbiamo anticipato nei commenti di cui sopra, oltre alle regole di utilizzo stabilite da Facebook stesso, i comportamenti degli utenti devono rispettare anche le norme dell’ordinamento italiano, tra cui anche quelle che tutelano i segni distintivi altrui.

In particolare, in base a quanto illustrato da Francesco, la normativa applicabile pare essere quella in tema di protezione del marchio, nello specifico di un marchio registrato (“Fatti di Seo” appunto). 

Ricordiamo che la registrazione del marchio permette di difendersi da segni concorrenti sul mercato, che potrebbero porre in confusione i consumatori/utenti o danneggiare la reputazione del titolare stesso. In questo caso la registrazione del marchio “Fatti di Seo” impedisce a chiunque di utilizzare (nello stesso ambito di attività) un nome identico o un nome simile che potrebbe generare confusione.

Anche Il fondatore del nuovo Gruppo Facebook, si ricorda, secondo le regole del social network, ha ampi poteri: può, entro certi limiti, stabilire le regole, identificare il nome e definire l’oggetto. Ciò nonostante egli deve in ogni caso rispettare, come detto, le norme dell’ordinamento, incluse quelle che proteggono nomi e segni distintivi altrui.

E nel caso in cui non fosse stato registrato il marchio?

Una tutela è ancora possibile. L’esclusivo utilizzo del nome di un Gruppo Facebook, infatti, può essere protetto da comportamenti di concorrenza sleale, anche quando il marchio non è stato registrato. L’utente che ne chiede la tutela dovrà in questo caso provare l’utilizzo anteriore del segno e la notorietà raggiunta dallo stesso.

Concretamente, il titolare del marchio, quindi, può agire contro un comportamento come quello dell’utente bannato da Francesco, impedendo l’utilizzo del proprio marchio. La tutela della proprietà intellettuale è un tema molto sensibile sul web e la maggior parte degli operatori di Internet, come Facebook nel nostro caso, hanno predisposto degli strumenti con cui il titolare di un marchio o di diritti d’autore può segnalare contenuti illeciti pubblicati da terzi sul sito del provider, per ottenerne la rimozione (procedura di Notice and Take Down o Segnalazione per la Rimozione)].

 

D: Quali azioni hai intrapreso o pensato di intraprendere?

R: Ma non credo che farò niente. La prendo come una piccola ripicca, ma niente di più. Francamente mi è parsa una boutade e come tale intendo gestirla.

 

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Grazie Francesco!

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Nota bio:

Francesco Margherita è sociologo, scrittore, musicista, consulente e formatore SEO, Brand Ambassador per SemRush, curatore del Blog “SeoGarden.net” e fondatore della Community Fatti di Seo. Ha scritto il Manuale di SEO gardening (oggi alla sua seconda edizione) e collaborato ad altre numerose pubblicazioni. Per maggiori informazioni su Francesco: https://www.seogarden.net/; https://www.facebook.com/groups/fattidiseo

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con la collaborazione dell'avvocato Lucrezia Giachetti

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foto di Samantha Hurley

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